Orlando e i Provenzali in Italia

Tratto liberamente e citato da A. Roncaglia, La poesia d’Oltralpe in Italia e le prime strofe italiane, in Storia della Letteratura italiana (dir. E. Cecchi – N. Sapegno), Torino 1970.

[…] Nel 1939 un illustre bizantinista belga, la cui erudizione spazia molto al di là dei confini del mondo bizantino, Henri Grégoire, avanzò e sostenne come probabile l’ipotesi che la Chanson de Roland sia stata composta in Italia a Salerno, alla corte di Roberto il Guiscardo, nella primavera del 1085. A lui fece eco, poco dopo nel 1943, un professore dell’Institut

La dura vita del contadino

Cit. da Storia della Letteratura italiana (dir. E. Cecchi – N. Sapegno), Torino 2001.

Villano, rustico e «pagano».
La difficile esistenza quotidiana
di un protagonista muto – e sovente
disprezzato – della storia
e dell’economia medievali,
oggetto di innumerevoli pregiudizi
da parte degli abitanti della città.

Contadini al lavoro nei campi. Miniatura da un codice manoscritto degli inizi del XV secolo, in Francia. The Granger Collection, New York.

Contadini al lavoro nei campi. Miniatura da un codice manoscritto degli inizi del XV secolo, in Francia. The Granger Collection, New York.

Che cosa conosciamo della vita del contadino nel corso del Medioevo? Interi volumi di storia ed economia sono stati dedicati all’agricoltura dopo la disgregazione dell’Impero romano d’Occidente.
Il sistema feudale, che caratterizza buona parte dell’età di mezzo, si organizza proprio per facilitare il controllo della terra e quindi dei suoi lavoratori. Sappiamo quanto alcune innovazioni tecniche in agricoltura, come per esempio l’utilizzo di un aratro pesante e la ferratura degli animali da lavoro, siano state il vero motore dello sviluppo economico e sociale. L’aumento della resa dei campi – e quindi la maggiore disponibilità di eccedenze di cibo per il commercio – ha favorito gli scambi e ha permesso alle popolazioni delle città, che non lavorano la terra, di crescere e di diversificare le proprie attività. Poco o tanto che sia quello che conosciamo della vita dell’agricoltore, si tratta però sempre di notizie indirette. La viva voce dei contadini non ci giunge praticamente mai. I villani rimangono, nella stragrande maggioranza dei casi, del tutto analfabeti, almeno in Italia, fino a tempi recentissimi. La loro cultura si trasmette oralmente attraverso le generazioni e non è ritenuta degna di essere fissata nei libri. Per di più essi, a differenza dei cavalieri – a loro volta ignari delle arti e della letteratura e della scrittura -, sono spesso le vittime e non i protagonisti dei rivolgimenti della storia. Le grandi decisioni vengono prese lontano dai loro campi e sopra le loro teste. Che cosa ci parla dunque di loro? In primo luogo, il paesaggio rurale che ci circonda. Esso testimonia l’attività plurisecolare del contadino e rappresenta il risultato degli interventi dell’uomo sulla natura, il compromesso fra le caratteristiche originarie di ogni territorio e le strategie messe in opera dall’uomo per soddisfare i propri bisogni. Quali altre testimonianze ci raccontano della vita del villano?
Le arti del periodo medievale rappresentano spesso il contadino: per esempio, non c’è raffigurazione allegorica dell’anno che non utilizzi i vari lavori agricoli accanto ai segni zodiacali per simboleggiare i mesi, come si può vedere nel ciclo di sculture di Benedetto Antelami, che sono conservate nel Battistero di Parma.
Nel Medioevo e nell’età moderna la cultura scritta, e la letteratura in particolare, si sofferma spesso sull’uomo che vive in campagna. Gli scrittori però manifestano generalmente diffidenza e scherno verso il villano, dando vita a un filone letterario preciso e assai duraturo, la «satira del villano». I termini con cui i lavoratori della terra vengono denominati assumono presto connotazioni negative, come accade a «rustico» e a «villano». In origine, infatti, questa parola indicava semplicemente l’«abitatore della villa» (la grande unità agricola composta da campi, pascoli e bosco accudito dall’uomo, in mezzo alle amplissime aree incolte, che allora ricoprivano l’Europa). Lo stesso termine «pagano» è tradizionalmente interpretato come «abitatore del pagus», ovvero abitatore di un villaggio agricolo. Proprio da qui sembra originare la diffidenza degli uomini colti o urbanizzati verso gli abitatori delle campagne e delle aree più impervie della montagna. In questi luoghi, più difficilmente raggiungibili da preti o predicatori e quindi meno profondamente cristianizzati, si continuano a coltivare gli antichi riti pagani della fecondità (che trovano la loro massima espressione nel Carnevale), il culto degli alberi e delle fonti, pratiche magiche e superstiziose e i sortilegi.
La medicina tradizionale di queste popolazioni, basata sulla conoscenza delle virtù terapeutiche delle piante, suscita la diffidenza della scienza ufficiale delle università ed è considerata alla stregua della stregoneria: questi saperi vengono ulteriormente ritenuti sospetti, perché si trasmettono per linea femminile, di madre in figlia. Nel Medioevo l’immagine del villano risulta dunque caratterizzata da una serie di pregiudizi, che lo rappresentano in sostanza come un essere sub-umano, simile più al bestiame che pascola che al «cristiano» della città. Si nutre di alimenti rozzi, più adatti alle bestie che agli uomini (si crede che la qualità dell’alimentazione influisca direttamente sull’anima e dunque sui sentimenti morali), è sporco, schiavo degli istinti più bassi, ma anche litigioso e ostinato.
Delle bestie ha però anche la furbizia, per cui è spesso capace di architettare e di giocare diverse frodi e numerosi raggiri.

Federico I e i Comuni

da T. Wise, German Medieval Armies 1000-1300, London 1997.

Gli stati pontifici occupavano una striscia di territorio incentrata su Roma che divideva l’Italia settentrionale da quella meridionale e la Sicilia. Per secoli i papi si erano ritrovati a camminare sul filo, sfruttando l’interesse – potenzialmente pericoloso – degli imperatori tedeschi sull’Italia settentrionale e centrale contro l’aggressivo insediamento dei Normanni in Italia meridionale e in Sicilia. Formarono anche alleanze con le città-repubblica del Nord e finanziarono eserciti per impedire all’impero germanico di estendere i propri territori e travolgere gli stati pontifici.
Gli imperatori tedeschi, che si consideravano gli autentici eredi dell’Impero romano d’Occidente, non ebbero remore nell’utilizzare truppe a sostegno delle loro politiche espansionistiche, e non era inconsueto che l’imperatore si fermasse in Italia per diversi anni. Gli eserciti germanici solitamente si raccoglievano ad Augusta o a Ratisbona in agosto o in settembre, ed entravano in Italia attraverso il passo del Brennero oppure, più raramente, transitando per il passo del Moncenisio o del San Gottardo.

Minatura da un manoscritto del 1188. Federico Barbarossa (1122-1190). Città del Vaticano. Biblioteca Vaticana.

Minatura da un manoscritto del 1188. Federico Barbarossa (1122-1190). Città del Vaticano. Biblioteca Vaticana.


Federico Barbarossa non fece eccezione, lanciando una serie di invasioni sia in Italia settentrionale sia in Sicilia. Papa Alessandro III, allarmato dalle ambizioni del Barbarossa, che minacciava di erodere il potere del Papato, scomunicò l’imperatore tedesco. Ma lo stesso potere papale era spaccato tra due pretendenti rivali al soglio di San Pietro, per cui l’imperatore riconobbe prontamente l’avversario di Alessandro III.
Nell’XI secolo la nobiltà italiana aveva perduto il controllo della maggior parte delle città, e viveva in castelli rurali o tenute con il loro seguito di cavalieri, ai quali furono concessi feudi. Alla metà del XII secolo rimaneva solo il marchese di Monferrato come grande feudatario indipendente. Tuttavia, specialmente in terreni difficili come le aree montuose delle Alpi o della Romagna, continuavano a dominare piccoli signori feudali.
I vescovi erano tutti potenti figure nella maggioranza delle città-stato, alla guida di vassalli e di valvassori. Molte città richiedevano che i nobili vivessero per la maggior parte dell’anno all’interno delle mura, dove costruivano palazzotti fortificati, mantenevano uomini in armi e proseguivano le loro liti private come in passato. Intanto, i nobili costituivano un’importante forza combattente e, assieme ai cittadini e ai non nobili più ricchi, erano tenuti a fornire cavalcature per la cavalleria e a presentarsi di persona, a meno che non fossero malati, anziani o bambini, nel qual caso si doveva presentare un sostituto.
Anche il contado, ossia le campagne circostanti sotto il controllo di una città, fornivano uomini da utilizzare su aree limitate. Ci si poteva attendere che la cavalleria fosse fornita dai nobili e dai comuni dipendenti, e la fanteria dalle aree suddivise in distretti. Queste truppe venivano spesso impiegate in funzione di pionieri e genieri. Nell’Italia settentrionale le città-stato richiedevano tutte le risorse quando occorreva. Perugia pretendeva che il suo contado fornisse armi, uomini, cavalli e grano. I soldati mercenari, che offrivano i propri servigi su base individuale, facevano anch’essi parte degli eserciti dell’Italia settentrionale e centrale alla metà del XII secolo. Il comando delle truppe era spesso nelle mani di consoli eletti, comprendenti rappresentanti dei valvassori e altri cittadini liberi. Tuttavia, la mancanza di coesione e la prudenza delle città-repubblica inducevano a una certa riluttanza nell’intraprendere grandi azioni offensive. Ci furono comunque sempre alcune città disposte ad aiutare i Tedeschi dando uomini e rifornimenti. Di fatto, fu l’impiego di tali truppe a garantire all’imperatore i suoi successi iniziali.
Illustrazione dagli «Acta Sancti Petri in Augia», VadSlg Ms. 321, S. 48. Il duca di Baviera, Enrico XII 'il Leone'. San Gallo, Kantonsbibliothek.

Illustrazione dagli «Acta Sancti Petri in Augia», VadSlg Ms. 321, S. 48. Il duca di Baviera, Enrico XII ‘il Leone’. San Gallo, Kantonsbibliothek.

Federico Barbarossa, al pari dei suoi predecessori, aveva bisogno di mantenere uno stretto controllo dei suoi territori italiani al fine di conservare il titolo di imperatore “romano”. La sua campagna d’Italia del 1154-1155, durante la quale fu incoronato dal papa, si concluse vittoriosamente, ma tre anni più tardi era di nuovo in Italia nel tentativo di reprimere le agitazioni nelle città dell’Italia settentrionale.
La città più potente nel XII secolo, Milano, divenuta comune nel 1045, era tenuta a fornire i servigi di 2000 cavalieri. Agli inizi del XII secolo, in cerca di territori su cui espandersi, Milano fu coinvolta in una serie di battaglie, sconfiggendo prima Lodi nel 1111 e poi Como nel 1127. Fu in risposta alle richieste di aiuto provenienti da queste città che l’imperatore intervenne, assediando Milano nel 1158.
Nel 1160 Federico trascorse sette mesi assediando la piccola città di Crema in Italia settentrionale. La cittadina, piccola ma saldamente difesa, era circondata da una doppia cerchia di mura e un fossato riempito d’acqua. Tra le macchine d’assedio costruite dalle forze imperiali c’erano due ripari protetti, uno dei quali procedeva davanti a una torre d’assedio mobile per sgomberare il terreno, riempire il fossato e posizionare rulli per sé e per la torre. Il riempimento del fossato di Crema fu effettuato spingendo in acqua 200 botti piene di terra e 2000 carrette di ghiaia. Sembra che l’altro riparo protetto fosse dotato di un ariete che danneggiò parte delle mura.
L’imperatore a questo punto fu aiutato dal geniere capo della città, il quale cambiò bandiera. Questo personaggio, di nome Marchisio, conosceva le difese nei dettagli e costruì un notevole ponte protetto con il quale portare una forza d’assalto sulla sezione più debole delle mura fortificate. La struttura di supporto del ponte era alta 50 metri e consentiva a un ponte, lungo più di 20 metri e largo 3-5 metri, di essere abbassato sulle fortificazioni di Crema. Il ponte era coperto da una tettoia protettiva fatta di vimini intrecciati e pelli di animali.
La torre d’assedio mobile, alla quale fu infine legata la scala d’assalto, fu descritta da un testimone oculare di nome Vincenzo di Praga. Era alta sei piani, fatta di quercia e si muoveva su rulli. Si diceva che il piano più basso fosse alto quanto le mura di Crema. Quando i genieri tentarono per la prima volta di abbassare o far ruotare il ponte di Marchisio, si accorsero che la tettoia protettiva intralciava le manovre, per cui fu rimossa. La torre d’assedio mobile fu invece portata al fianco della torre che sosteneva il ponte, forse per legare assieme le due strutture e permettere ai balestrieri sulla torre d’assedio di fornire fuoco di copertura a coloro che utilizzavano il ponte. Anche se gli attaccanti non riuscirono a impossessarsi delle mura di Crema, i cittadini decisero che la loro posizione non era difendibile e quindi si arresero.
I Milanesi, spinti all’azione dal destino subito dalla loro alleata Crema, assediarono il castello di Carcano, a circa 36km da Milano, con forze reclutate nei sei quartieri cittadini. L’esercito fu rinforzato da cavalieri provenienti da Brescia e da Piacenza. Federico giunse per levare l’assedio, richiamando truppe tedesche e italiane, comprese alcune unità provenienti da Como, Novara, Vercelli e Pavia, soldati del Monferrato e nobili del contado milanese che stavano ancora cercando di preservare la loro libertà dalle mire cittadine. Dovevano raccogliersi in un punto tra il castello e Milano stessa, al fine di tagliare fuori l’esercito assediante.
Invece di attendere che si raccogliessero tutte le sue forze, però, il 9 agosto Federico calò sulle linee d’assedio milanesi solo per scoprire che il nemico non aveva alcuna intenzione di combattere un’azione difensiva. La fanteria milanese avanzò per andare incontro alle truppe imperiali, ma fu fatta a pezzi dai cavalieri tedeschi sull’ala destra imperiale. Sulla sinistra fu tutta un’altra storia. I contingenti di Como e di Vercelli furono sconfitti dai cavalieri milanesi e bresciani, che per poco non spazzarono via anche i Novaresi, prima di volgersi con impressionante coesione per andare in aiuto alla fanteria milanese che ancora resisteva, anziché indugiare in un inseguimento.
L’imperatore doveva essersi reso conto che aveva mal giudicato la potenza delle forze assedianti. Si mise in mezzo il tempo con forti piogge, e i due eserciti si ritirarono, i Milanesi verso il loro campo e Federico verso Como. Sfortunatamente, la sua ritirata non fu comunicata agli altri 280 cavalieri che si stavano avvicinando da Cremona e Lodi, i quali furono colti di sorpresa dai Milanesi il giorno seguente, subendo pesanti perdite prima che l’imperatore caricasse in loro soccorso. Per i Milanesi fu una vittoria di Pirro: una sortita da Carcano distrusse le loro macchine d’assedio, e levarono l’assedio per timore di altri attacchi.
Nel 1162 Federico fu costretto ad assediare nuovamente Milano, che capitolò dopo una lunga e aspra lotta durata oltre nove mesi.
Cinque anni dopo, nel 1167, le città dell’Italia settentrionale, Milano compresa, si unirono per formare la Lega Lombarda e combattere per la loro indipendenza dall’Impero germanico. Profumatamente finanziate dal Papato, continuarono a litigare tra loro e non riuscirono mai ad agire come uno stato unitario. Nondimeno, la Lega Lombarda vanificò ogni reale speranza di vittoria tedesca. I suoi eserciti erano progrediti in termine di organizzazione, potenti quanto a cavalleria (che era ideale per condurre guerre nella pianura padana), comprendevano la fanteria più disciplinata d’Europa ed erano stati induriti dai continui combattimenti.
Avendo continuato le sue campagne in Italia per un altro decennio, Federico si trovava a Pavia nella primavera del 1176, quando decise di non sprecare altro tempo nei negoziati con Milano. Dalla Germania erano stati richiamati rinforzi e l’imperatore probabilmente stava anche aspettando un contingente mercenario agli ordini di Cristiano di Magonza. Questo esercito due mesi prima aveva sbaragliato un esercito normanno a Carseoli, vicino Roma, e stava marciando verso nord in appoggio.
L’esercito settentrionale di Federico Barbarossa comprendeva i conti di Saarbrucken, Fiandra e Olanda, il langravio di Turingia, gli arcivescovi di Colonia e Magdeburgo e diversi vescovi. Questo contingente, forte forse di 500 cavalieri e 1500 sergenti, aveva visto le sue potenziali dimensioni significativamente ridotte dal rifiuto di rispondere alla chiamata opposto dal potente Enrico il Leone, duca di Baviera. Questa armata si stava avvicinando passando per Como, avendo Milano giusto tra sé e le truppe di Federico, 29km a sud di Pavia.
L’imperatore lasciò Pavia con una scorta forse di 500 cavalieri, costeggiò Milano e incontrò l’esercito settentrionale a Como, dove fu raggiunto dai suoi cittadini, andando a costituire una forza forse di 3000-3500 uomini. Tuttavia i Milanesi, accortisi del pericolo insito nel consentire all’imperatore germanico di unire le sue tre forze, chiesero aiuto alle altre città. Frattanto Federico, nel tentativo di tornare alla sua base, fu intercettato da alcune truppe della Lega Lombarda che si erano mosse per andare incontro alla minaccia prima che l’imperatore potesse rientrare a Pavia. I contingenti montati includevano 300 uomini provenienti da Novara e Vercelli, 200 da Piacenza e 50 da Lodi. La fanteria di Brescia e di Verona doveva difendere Milano mentre la fanteria milanese marciava assieme alla cavalleria, un contingente forse di 4000 cavalli.
Le avanguardie dei due eserciti si colsero vicendevolmente a sorpresa sul terreno boscoso di Legnano (nel 1176), circa 22km a nord-ovest di Milano. I 300 Tedeschi cedettero lentamente il campo ai 700 cavalieri milanesi, che furono poi attaccati dal grosso e cedettero. Il grosso delle forze lombarde giunse dai boschi per schierarsi di fronte ai Tedeschi, con la cavalleria lombarda in quattro divisioni.
Malgrado l’inferiorità numerica, i cavalieri tedeschi caricarono, e riuscirono a frantumare le divisioni nemiche, che probabilmente erano in colonna. Molti cavalieri fuggirono oltre la loro fanteria, inseguiti dalle truppe imperiali. I fanti avevano organizzato una resistenza schierati in massa con gli scudi levati e le lance all’altezza del nemico. Rinforzati da alcuni dei cavalieri che adesso erano smontati, presentavano un formidabile ostacolo e riuscirono ad arrestare l’inseguimento.
I cavalieri milanesi si raccolsero allorché incontrarono un contingente di cavalieri bresciani giunti in loro appoggio. Assieme, lanciarono un attacco sul fianco dei tedeschi, che non sembrano aver impiegato arcieri o balestrieri contro la fanteria nemica, neppure prendendoli dai cittadini di Como, probabilmente perché questi erano in posizione troppo arretrata. Vedendo vacillare i Tedeschi, è possibile che la fanteria italiana sia avanzata in questo momento. Lo stendardo imperiale cadde e l’imperatore tedesco fu disarcionato, dando origine alla voce che fosse morto, e scatenando il panico. La mancanza di fanteria e il numero troppo scarso di uomini, assieme alla vigorosa resistenza da parte dei cittadini in armi inflissero ai Tedeschi una schiacciante sconfitta. Non ci sono notizie su quanto vicino all’azione potesse o meno essere stato Cristiano di Magonza e la sua forza di soccorso proveniente da sud.
Spinello Aretino, Federico Barbarossa si sottometteo all'autorità di papa Alessandro III. Siena, Palazzo Pubblico.

Spinello Aretino, Federico Barbarossa si sottometteo all’autorità di papa Alessandro III. Siena, Palazzo Pubblico.


Per effetto della disastrosa sconfitta di Legnano, l’imperatore abbandonò finalmente le sue ambizioni sull’Italia. Dopotutto, troppi Italiani erano ostili ai Tedeschi e troppe città richiedevano lunghi assedi perché l’imperatore potesse riportare una vittoria convincente. Dopo oltre vent’anni di conflitto, Federico si riconciliò con papa Alessandro, chiedendo perdono e proclamando la propria lealtà al Papato. A Venezia nel 1177 fu costretto ad accettare gli indigesti termini di pace imposti dal Papato e dalla Lega Lombarda, ma ricevette il perdono di Alessandro III in una cerimonia pubblica.
La Pace di Costanza nel 1183 pose del tutto fine alle ambizioni italiane di Federico. Questi volse allora la sua attenzione sulla ricostituzione dell’Impero a nord delle Alpi.